Rapporti speciali
Come ogni anno, Geremia se ne stava seduto, completamente assorto, commemorando il triste giorno. Nella sua vita, era il giorno che gli gelava il cuore.
Durava un istante un po' più lungo rispetto ai giorni normali, quel suo riandare a ritroso nei ricordi, ma non piangeva più.
Il dolore si era cristallizzato nella consapevolezza di non aver perso del tutto il fratello, convincendosi di portarselo nel sangue che, fortunatamente, si mantiene sempre caldo. Non come le ossa, che scricchiolano con gli anni.
Lui era vivo, non se ne faceva più una colpa.
Lui era egoista, non viveva più le cose che avrebbe gradito il fratello.
A buona pace dell'animo, si raccoglieva in meditazione soltanto nella ricorrenza del triste giorno, senza recarsi all'appuntamento sulla tomba con un mazzo di fiori recisi, a gelarsi le ossa per un gesto inutile.
Sicuramente non c'erano più neanche quelle del fratello, sepolto a terra, come da volontà dei genitori, quella stupida volontà di tornare cenere alla cenere in quanto cenere... e perché non farsi cremare allora? Le ossa... chissà quanto ci mettevano, nel gelo della terra, a farsi polvere.
Ah, polvere. Era lì che si tornava. Ma Geremia non era mai stato religioso, al massimo credente, e poi la sua memoria non era tanto buona come quella del fratello, che gli declamava i versetti della Bibbia come una ballata alla chitarra.
La stagione volgeva al freddo; la finestra poteva restare aperta pochi minuti prima che il corpo, immobile nella posizione assorta, reclamasse tepore.
Non era un animale da letargo Geremia. I mesi ingialliti e poi ghiacciati non li sopportava.
Mandando al diavolo i ricordi, era scattato in piedi per serrare le imposte alla finestra: aveva punito abbastanza l'aria viziata della notte.
"Che cazzo di freddo!", paccandosi le braccia incrociate; "Al diavolo!".
Il corpo ha bisogno di calore. Non come le ossa, indifferenti, al sicuro, neutre.
Sotto il getto dell'acqua calda, Geremia lottava con il senso di colpa di dedicare sempre meno tempo al rito dell'onorare il fratello, di anno in anno.
E Samuele non si decideva a spogliarsi del lenzuolo da fantasma e riportare la sua ombra alle ossa. Appariva ogni notte, si faceva sentire.
Nel letto, Geremia lo sentiva appendere la giacca scamosciata su una gruccia, all'ingresso; i suoi passi pesanti risuonavano nel corridoio buio, diretti al trespolo con la sua chitarra; la imbracciava e cantava la sua ballata, alternando versetti biblici a preghiere per la pace delle sue ossa.
Non lo raggiungeva mai in camera, non gli parlava, ma Geremia lo sentiva che era lì.
La presenza spettrale si muoveva liberamente, ingombrante. Non come le ossa, che fanno rumore se le percuoti, no. Come un'ombra, inattaccabile.
Nel triste giorno, la cicatrice lungo il fianco, per quanto Geremia tentasse di scaldarsi, pizzicava e prudeva a intervalli irregolari.
Avvolto nell'accappatoio di spugna, compreso il cappuccio calcato sulla testa, sentiva ancora quel senso di colpa nelle ossa.
"Che cazzo di freddo!", strofinandosi con forza il corpo bagnato.
Avrebbe voluto fare un lavoro sportivo, eppure aveva studiato legge, tra mille difficoltà a ricordare tutti i codicilli scolpiti della giustizia.
I genitori erano contenti, ne apprezzavano anche gli sforzi, ma Geremia non lo aveva fatto per loro, né per sé. Aveva deciso tutto Samuele, insistendo sull'importanza della giustizia, come un tarlo nella mente.
Certo, lo sport andava fatto, ma era meglio avere un lavoro serio e sentirsi la coscienza a posto nella consapevolezza di fare del bene: "Fallo per me! Non vuoi fare contento tuo fratello?".
Aveva un suono simile al suo, la voce di Samuele, eppure era così fastidiosa.
E lui era autoritario, dispettoso, ad un livello superiore... e non voleva lasciarlo in pace: doveva fare il suo volere.
Chiudendosi la porta alle spalle, nel suo ufficio d'avvocato in uno stabile qualunque, Geremia era già alterato per non avere la possibilità di pretendere un condizionatore, da semplice tirocinante nella società.
"Che cazzo di freddo!", buttando uno sguardo fuori dalla finestra.
Prima di rientrare a casa, si era fermato a prendere una bottiglia di vino rosso, deciso a commemorare il triste giorno ubriacandosi.
Era tardi, era già sera, e Samuele arrivava col buio.
La cicatrice sul fianco prudeva e doleva. Non come le ossa, che se ne stavano buone e nascoste.
Ancora quella ballata, ancora quei versi e versetti.
Senza muoversi dalla cucina, Geremia aveva stretto il gambo del calice con un senso di fastidio che tracimava in rabbia: era adulto ormai, aveva la sua vita e il fratello non aveva alcun diritto di tormentarlo.
"Non l'ho deciso io! Mi senti, Samuele? Che cazzo di freddo ogni volta che arrivi! Mi ascolti?", scagliando contro il muro la bottiglia.
Quanto possono reggere le ossa prima che il peso del corpo le faccia collassare?
Gemelli uniti per la vita: Geremia era stato valutato con le ossa più forti. Non aveva lanciato lui la moneta, giocando a testa o croce.
Ma Samuele non era mai cresciuto; perfidamente infantile, non voleva starsene da solo sotto terra. Pretendeva attenzioni, pretendeva la vita, altrimenti lo avrebbe fatto impazzire...
... non come le ossa, che sono senza voce.
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