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  • Immagine del redattoreAnnamaria Ricco

Il fottuto cono arancione

Il senso dell'ironia dell'universo aveva un qualcosa di diabolico, roba tipo pentole e coperchi. E, il più delle volte, a Riccardo non dispiaceva affatto.

Se la spassava a ritardare i lavori di quel tunnel che, in linea di massima, era finalizzato ad una maggiore fluidità del traffico extraurbano, una riqualifica del territorio, un massiccio impiego di forza-lavoro volto all'incremento delle finanze erariali e altre menate del genere.

L'importante era restare, in trasferta, in quel territorio, in auge.

Aveva un ottimo stipendio, un bell'appartamento come alloggio e vitto equamente diviso tra buoni pasto e agevolazioni di sconti in trattorie affatto male. Senza contare l'auto in dotazione e il rimborso dei biglietti per il trasporto nazionale.

La seconda parte della vita di Riccardo seguiva la via dell'oro di una seconda giovinezza.

Agevolazioni. Agiatezza. Approvvigionamento.

E sì, perché bisognava armarsi di buone idee per mantenere lo status quo.

Se il diavolo forniva le pentole, Riccardo ci metteva i coperchi.

L'acqua ribolliva e bastava coprire e attendere che i vapori si agitassero.

Così era capitato che operai e gente del posto venissero a conoscenza di talune malefatte, imbrogli e pastette, da voce assolutamente anonima, si capisce, e agissero di conseguenza, lesi nella maestà, con manifestazioni di dissenso che allungavano la brodaglia dei lavori.

Diabolica invenzione la parola che influenza il prossimo!

I lavori erano ormai lì lì per finire (si diceva da tempo, ok) e l'idea doveva essere assolutamente geniale se voleva fregare il genio civile.

Un cadavere?

Un improvviso giacimento di qualcosa?

Una frana?

Un miracolo?

Forse un incidente piccolo piccolo... Ma a che pro se non ci scappava il morto?

Avrebbe guadagnato solo qualche giorno per le perizie del caso, non ne valeva la pena.

Aveva già pronti i suoi adorabili coni arancioni nel cofano. Li avrebbe usati prima che un dannato corriere espresso portasse via i cartoni delle scartoffie dall'ufficio. C'erano i suoi sogni là dentro.


Quei coni arancioni erano stati una costante della sua vita.

Imposti da altri sul suo cammino o posti da lui stesso sul cammino altrui, i coni finivano sempre nei posti più delicati dell'essere umano, i più impensabili a volte, i più naturalmente esposti altre.

Partendo dal presupposto che tutti cascassero sulla strada, c'era chi si beccava la punta nel cuore (poveri ingenui!), chi nel fianco (poveri samaritani!) e chi nel didietro (poveri!).

Riccardo li portava sempre con sé (portarseli dietro potrebbe creare equivoci, stanto a quanto detto sopra).

Il gilet avrebbe stonato col suo look e rete e nastro richiedevano sforzi; di arancione bastavano i coni.

L'arancione del pericolo temporaneo, della cautela da prestare, del rischio di una caduta di cui qualcuno avrebbe potuto approfittare. Lui.

Nessuno presta attenzione ai segnali.

In virtù di questo vizio di forma, approfittando sempre e comunque, Riccardo era salito nella scala sociale, contava su un buon reddito, lui, non come quel rozzo pittore che, munito di un rottame di cavalletto, da giorni sostava nei pressi di una delle uscite del suo tunnel.

Pittore!

Era proprio curioso di ammirare le sue opere.


Da giorni, sempre più in preda all'angoscia della trasferta agli sgoccioli, aveva preso a svegliarsi di prima mattina, ancora quasi notte, per recarsi nei pressi del tunnel come se l'universo gli dovesse un suggerimento.

Non si era accorto subito del pittorucolo, appollaiato su un'altura poco distante a immortalare un paesaggio di folti arbusti stagliati nell'orizzonte del mare nella luce di un pallido arancione.

Non era il suo posto. Era letteralmente fuori luogo, stando alla conformazione naturale.

Sopra si ergeva la vecchia mulattiera a senso unico, un serpente d'asfalto stantio che si protraeva fino all'imbocco di una vera strada diretta in città.

Sotto, la sua holding (sua in quanto dipendente, è chiaro) si era accaparrata il grosso progetto di un'interstatale da punto A a punto B, chilometri di liscio marzapane con cui allettare gli automobilisti sempre col piede sull'acceleratore.

Nel mezzo, una fetta di terreno scapricciato, con insenature che soltanto uno stolto avrebbe voluto e potuto adibire a studiolo all'aperto.

Doveva essere arrivato a piedi; non c'erano mezzi di locomozione in vista.

Sporco di terriccio sui pantaloni strappati in più punti (ah, la moda giovanile!), agli occhi di Riccardo appariva come un tizzone assopito sfuggito al fuoco sotto la sua pentola. Gli dava fastidio.

Non che gli potesse nuocere in alcun modo, figurarsi, ma il nervosismo crescente della sua situazione rivolgeva la frustrazione dove capitava.


- Non li vedi i coni arancioni? - urlò.

- Non vedo assolutamente niente di arancione, amico! - sorrise.

- E che diavolo stai dipingendo? Questo lo vedi? - mulinò un cono.

Per tutta risposta, il giovane artista elargì una fragorosa risata e voltò la tela al suo indirizzo.

Era bell'e finito, a suo parere: un guazzabuglio di linee e colori nello stile dell'espressionismo tedesco, linee nette e colori pregni di humor.

Peccato che Riccardo non ne avesse quel giorno di humor o, se proprio, ce l'aveva nero e catarroso.

- Giallo e rosso e vedi come ti appare questo cono arancione! - suggerì. - Non puoi stare qui!

- Sono per i colori netti, primari, amico! Non vedo altro che quello che voglio vedere e... Indovina? Non vedo il tuo cono arancione del cazzo! - rise ancora.

Non lo sanno i giovani che non si scherza con i santi e ancor più coi diavoli.

Quello era un giorno particolarmente ispido per Riccardo (la riunione di fine lavori era fissata per il pomeriggio) e l'espressionismo non aveva mai incontrato i suoi favori. Espressione di cosa?

Dov'erano finiti i bei vecchi quadri di nature morte?

Per esprimere un sentimento si deve dar voce all'anima e la sua aveva deciso di venderla al diavolo.

Un bel lancio da giocatore di rugby, caricato con una rabbia che doveva esprimersi in qualche modo, e il cono andò a puntarsi nell'occhio del fastidioso pittore, reticente all'ascolto, renitente alla fuga, recalcitrante verso le regole, le sue regole.

Un film muto avrebbe ripreso la scena in slow motion: dolore e disorientamento repentini, perdita d'equilibrio, scivolata disordinata lungo il pendio, inevitabile e fatale scontro con lo scalone roccioso a picco sul mare.

Occorreva un cadavere. L'aveva trovato.

La tela, nel capitombolo subìto, si era conficcata su un cono.

Le punte finivano sempre nei posti più impensabili.

Pentola e coperchio. Di un bell'arancione da galera americana.


Gli avevano detto che anche lì avrebbe percepito una qualche somma di stipendio, anche se era impensabile garantirgli un alloggio da single e un mezzo di trasporto diverso dalle sue gambe.

Almeno poteva dipingere qualche cono alla parete che fungesse da testiera alla sua branda?

Non gliene avevano permesso nemmeno uno in dotazione (oggetto contundente, soprattutto nelle sue mani). Ironia malvagia.

Per qualche anno sarebbe stato attento ai segnali, agevolava la buona condotta.

E se ne sarebbe stato alla larga da oggetti appuntiti, certo. Soprattutto nelle docce.

Le punte si sa dove finiscono a volte.

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