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Immagine del redattoreAnnamaria Ricco

I poeti lo sanno?

Aggiornamento: 29 nov 2020

Sulle orme di una leggenda...

Il tempo non scorreva più come un tempo.


Persino i volti dei pescatori erano diversi e le loro voci non accompagnavano più il suono del mare: i giovani erano sempre accigliati, se ne stavano in silenzio caricando le reti, oppure sacramentavano contro la sorte che non aveva offerto prospettive migliori, della puzza di pesce che restava incollata alle narici e squamava le mani intirizzite.

Il faro andava avanti da sé, meccanico, pulsante ad intermittenza come una sirena muta; nessun guardiano si occupava più di ammirare Sirio, scrutare la massa di petrolio ondosa, vigilare sugli argonauti calamitati da qualche kraken.

In quella casa, non c'era più il profumo di argan che sciava dietro di lei.

Le campanelle ciondoloni alla finestra non tinnivano più melodie allegre, sbeccate da venti furiosi che avevano imperversato senza incontrare resistenza umana.

Il tempo scorreva nelle crepe della casa, nelle suppellettili mareggiate nella polvere, nelle rughe a vista, ma non nella memoria di Emilio.


Uomo distinto, uomo di cultura, uomo galante, uomo invidiato, uomo.

Solo lui sapeva quanto cigolasse la sabbia nella clessidra del tempo in cui era semplicemente un uomo, seduto composto nella sua poltrona sfondata, con la lampada di Limoges a schiarire le pagine dei poeti, su quei versi che ben conosceva eppure sempre così nuovi per quei brividi a pelle.

Nessuno, per quanto bravo con le assonanze e le metafore, poteva mai dirsi maestro di emozioni. Ognuno, in base al suo vissuto, ci rispecchiava i propri ricordi, in una comunione di sensazioni che, a ben vedere, erano nella natura umana.

Prendi l'amore: lo si può definire e declinare in tutte le sfumature, ma è sempre il cuore a rapire la mente, per un tempo stabilito dal senso di appartenenza. Può passare dalla passione alla tenerezza, talora diventare abitudine, ma cosa ne sarebbe dell'uomo senza quel sentimento?

Va riversato, lasciato fluire a macchia d'olio e ungersene a dismisura.

Emilio filosofeggiava su quel sentimento da tutta la vita, portavoce del sentimento più vessato e idolatrato in tutti i tempi. Anche se la sua musa non c'era più, anche se il tempo raspava ingiurioso sulla pelle.

La sua donna fluttuava raminga tra le due dimensioni, l'eterea e la terrena, con una grazia che nessun poeta avrebbe saputo mettere in versi.

Rannicchiata nella poltrona di fronte, con uno dei suoi libri sulle cosce flesse, una mantella leggera sulle spalle, gli sorrideva con gli occhi e con la bocca, mai stanca di sentire la sua voce.

"Non riesco a venderla e i ragazzi non hanno alcuna intenzione di viverla. Non è colpa loro. Non se lo ricordano di quanto siamo stati felici qui. Colpa mia che non ho rispettato le nostre tradizioni. Non ci ho più rimesso piede da quando..."; il singulto lo aveva ammutolito, costringendolo a voltare lo sguardo verso la finestra a vista sulla spiaggia.

Sentiva il vuoto impossessarsi furioso, dentro, di quel che restava del suo cuore.

Lei gli avrebbe sussurrato di vivere e amare ancora, di sorridere con forza e compiere il suo viaggio fino a Sirio, senza ritorno, approdo salvifico del loro amore. Probabilmente, lo avrebbe esortato in quei termini.

"E non è quello che faccio? Continuo a vivere, ad offrire la mia presenza di padre, di amico, di professore, di uomo. E' la tua presenza che mi manca. L'amore, il mio amore, ti arriva oltre le parole che dico nel vuoto? Mi senti ancora?", con gli occhi asciutti.

Il tempo non cancella le orme dei ricordi come fanno le onde sulla sabbia.

Avrebbe fatto fagotto dei suoi souvenir di una vita felice che fu e messo in vendita la casa, per amore. I suoi figli avevano bisogno di soldi per costruire i loro sogni: lui non ne aveva più.


La stagione fredda, al mare, incuteva malinconia e refrain di ricordi.

Emilio riusciva a ricordare tutta la melodia di quei giorni senza ombre.

Lei era ovunque... nelle zampe palmate dei gabbiani sul bagnasciuga, nelle reti rammendate dei pescatori padri dei pescatori figli insoddisfatti, nella corsa rumorosa di gioia di una bambina munita di conchiglie.

"Ciao!", una voce tenera e festosa. "La tua casa ha le campanelle alle finestre: le sento sempre quando vengo qui. Sai che sono rotte? Perché non ci metti queste?", mettendogli fra le mani una manciata di conchiglie.

L'innocenza dei bambini genuflette qualsiasi dolore.

Non gli sembrava il caso di tediarla con le macchinazioni degli adulti, ma non trovava una risposta adeguata all'entusiasmo infantile, se non un cenno di assenso col capo, come ringraziamento, e un sorriso muto.

"Lì ci viveva una sirena che aveva perso la coda uscendo dal mare per inseguire una stella luminosissima. La mia nonna la conosceva, quand'era una donna, e mi racconta sempre della leggenda di Sirio. E' una storia bellissima! Vuoi che te la racconti?", prendendolo per mano.

Passeggiando sulla spiaggia, spumeggiante un'aria frizzante ma non gelida, Emilio aveva ascoltato la sua storia, la leggenda del suo amore infinito, vestito dei panni di un guardiano del faro, forse l'ultimo, a memoria di quel villaggio mediterraneo.

I poeti la conoscono la profondità della voce semplice di un bambino?

Mai poesia lo aveva coinvolto così tanto come il racconto della sua piccola amica che (ci avrebbe giurato!) aveva lo stesso brio della sua donna riandata nel mare.

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