Riscrittura di una leggendaria passione
“Ehi...
Non so come rispondere all’amore che mi butti in faccia, come un uragano nella steppa. È tutto così strano. Le parole sul foglio fanno fatica a scorrere, le dita reggono a stento la penna, tremanti per il caos nella mia testa.
Sono già due mesi che ci scriviamo quotidianamente; il nostro fidato Ermes sorride incredulo per questa spola di lettere per un tragitto così breve. Basterebbe così poco a vedersi e capire, lo so, ma la mano sulla porta di casa non trova il coraggio di abbassare la maniglia; il cuore, che palpita ad ogni lettura, si tramortizza nell’ansia appena il corpo tenta di muoversi.
Ci siamo visti in foto, abbiamo aperto le nostre anime, eppure la smania di essere tra le tue braccia, di sentire il sapore della tua bocca, di inebriarmi del profumo della tua pelle, tutte queste sensazioni che la carta non riesce a tradurre, gelida base di parole di adamantio, sono così indispensabili per me.
Non è il piacersi in colorati ritratti che genera l’alchimia alla base dell’amore. Tu mi scrivi “ti amo” e io ti credo e rispetto il tuo sentimento, ma non riesco a dirtelo (scrivertelo) di riflesso, e questo ti fa stare male, e mi odio per questo.
Come posso mandare tutto all’aria per un sogno? Fuggire da una vita che, pur non piacendomi, è l’unica realtà che conosca?
Potresti ribattere che non lo saprò mai se non mi decido a liberare i miei piedi di piombo, e poi? Se, vedendoti, non scattasse quella scintilla sensoriale così essenziale per me, perderei questa felicità di carta, oasi nell’aridità del mio deserto, e non lo sopporterei.
Egoista, rinvio sine die un nostro incontro, pregandoti di non smettere di amarmi, anche così, con poesia e inchiostro. Ed ecco la risposta alla tua proposta di festeggiare questo anniversario sì breve ma intenso del nostro tempo: non verrò, non aspettarmi stanotte.
La paura vince sul desiderio e mi struggerò di rimpianti ogni momento che potrò dedicare alla mia anima.
Perdonami,
Elena”.
“Ohi...
Sono qui, sotto il tuo balcone. Ho bloccato il nostro Ermes sul portone, pregandolo di attendere per darmi il tempo di scriverti queste parole mosse, col foglio attaccato al muro freddo e sporco e ruvido, col pugno a reggerlo e l’altra mano che stritolerebbe la penna per l’impazienza di vergare i miei pensieri ed essere al più presto al cospetto dei tuoi occhi di smeraldo.
Dammi i tuoi occhi, lascia che i miei anneghino mentre la bocca, finalmente, palesa col suono il mio amore dannato.
Me dannato per quanto ti amo!
E dannato il mio amore, ariete impotente contro le mura della tua anima impaurita!
Conosci il mio aspetto e ho messo a nudo tutto il mio essere, trovando ristoro nelle tue parole delicate e timorose. Lascia che la mia fiamma provi a entrare nel tuo mondo buio di remore pesanti.
Se, baciandoti, stringendoti a me, non sentirai accendersi la tua scintilla, sparirò come mi chiedi ma non negare a noi questa possibilità.
Ti amo, amore mio. Io sì lo so, ne sono certo e non smetterò mai di provarlo, anche se mi negassi il caduco ausilio di questo pezzo di carta, scritto con mano agitata e con la grafia di un bambino.
È questo che mi rendi, un bambino irrequieto che non può fare a meno della sua gioia.
Bastano pochi istanti perché i tuoi occhi giudichino il tuo cuore e la tua bocca confermi la condanna o l’estasi. Se l’alchimia scatterà in te, sono disposto a rapirti dal tuo serraglio e donarti il mondo con ogni sua meraviglia.
Permettimi di amarti. Amami.
Resto qui in attesa.
Ti amo,
Paride”
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