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Il paradigma dei grigi

C'è stato un tempo in cui sapevo disegnare ogni suo più piccolo particolare facendo appello alla memoria.

Con la sola matita ridotta al torsolo, conoscevo rughe d'espressione, segni del tempo, orme d'esperienza impresse su quel viso, il suo viso. Tra ombre e chiaroscuri, nel reticolo morbido di tratteggi di varia intensità, senza che me ne accorgessi a volte, mi ritrovavo col disegno a puntarmi gli occhi addosso.

Nella realtà dovevano essere di un camoscio nocciola. Per me erano di un grigio sfocato con sfilacciature di un nero incisivo.

Sono (ero) un pittore, sporadicamente astigmatico, costantemente miope, eccezionalmente daltonico e, con questa espressione, intendo dire che rappresentavo un'eccezione e non che fossi un fenomeno. Un artista incompreso e, eccezionalmente, non tramandabile ai posteri. Almeno fino a ieri.

Chi può dire se gli ultimi eventi non abbiano segnato una svolta nel mio misero destino di artista da cantina?

Quella svolta che ho sempre cercato, atteso, sperato, potrebbe essere giunta proprio ora che non potrei godermela, viverla, abbracciarla.


È passato abbastanza tempo da poter dire che non conoscerò mai quel volto. Non sarei più in grado di definirlo a memoria.

Nella mia condizione "particolare", vedo solo strati di grigio sfocato, senza più sfumature di nero e di bianco, di buio e di luce.

Il bianco è un colore? Il nero è la somma dei colori?

Posso dirvi del grigio, paradigma delle sfumature.

Una persona normale distingue milioni di sfumature, potenzialmente.

Persone dotate (sì, dotate) di daltonismo, qualche migliaio.

Io, che non mi limito a confondere verde-rosso-blu, ho acquisito una forte percezione dei grigi, le sfumature invisibili che il mondo offre e nasconde.

Spesso non è una condizione d'agio, ve l'assicuro, ma sono grato. Ho spalancato gli occhi su realtà che il resto della gente ignora (in entrambi i sensi, di ignoranza e di disinteresse) ed è capitato che i miei occhi fragili riflettessero (in entrambi i sensi anche qui, di pensiero e di immagine rimandata) sguardi partecipi della medesima condizione (pochi).

La prima volta accadde per caso.

Dopo una doccia, ancora piacevolmente umido sul corpo e sui capelli, ero uscito di casa per una passeggiata sul viale senza occhiali.

Ho un grado di miopia tale che, senza, nel raggio di cinque metri, ogni cosa mi risulta appannata, una tavolozza impiastricciata di colori che si divertono a confondermi. Ma ogni tanto mi piace testare la mia vista capricciosa.

Era primavera inoltrata (ammesso che esistano ancora le stagioni) e gli alberi avevano già messo su una bella pelliccia di foglie che non disdegnavano di sgrollare pollini come peli superflui. Un toccasana per la mia allergia. Non mi faccio mancare niente. Magari un giorno vi racconterò degli altri miei impiastri fisici.

Riconosco una certa confusione in questo mio discorso. Devo fissare i punti.

Ero lì a passeggiare con passo lento, attento a non inciampare in una delle tante buche che, in svariate misure, tarlano la mia città.

Ma non si può sempre essere vigili. Ogni tanto ci si deve lasciar andare.

Avessi avuto le lenti, sarei stato più libero. Odio le costrinzioni, comunque le si intenda.

Pazienza se casco.

Quel giorno avevo bisogno di sentirmi completamente libero.

Alzando gli occhi al cielo, mi si offrì lo spettacolo più intenso che avessi mai visto, e non parlo del poetico celeste-azzurro-blu & affini che possa essere ascritto al cielo. Per me era sempre stato un grigio perlaceo, materia da lasciar plasmare ai romantici.

Nel fitto di un fogliame informe, in una porzione libera di spazio, mi si rivelò una ragnatela di fili d'argento. Brillavano al sole come una dimostrazione concreta dello spettro dei colori.

Com'era possibile che solo io me ne rendessi conto?

Avrei voluto gridare un'osanna al mondo, col cuore in tumulto e lo stomaco stretto, ma non sono un santone seguito dalle masse. A quest'ora sarei famoso.

Mi limitai a riabbassare lo sguardo alla ricerca di un prossimo con cui condividere l'esperienza, anche a costo di farmi additare come un pazzo.

Non uno di quegli individui a spasso aveva tempo o volontà o curiosità di essere importunato da uno sconosciuto apparentemente normale.

Come si può spiegare i colori a un cieco?

I vedenti sono ciechi, su qualsiasi scala di diottrie.

Completamente assorti dalle frivolezze del denaro, del sesso, del comfort, si sono assuefatti ai colori intorno, convivono con il loro spettro con indifferenza e, a meno che non si tratti di qualcuno al telefono, non prestano attenzione al mondo che li circonda.

La mia voce sarebbe rimasta inascoltata, quindi tenni per me la rivelazione del paradigma dei grigi. Come ho detto, non sono un guru, sono nessuno.


"Hai semplicemente dimenticato gli occhiali e il sole ti ha accecato".

Più o meno erano state queste le parole dei miei conoscenti.

Un tempo, non avevo bisogno d'occhiali. Un tempo, mi piacevano cose che oggi non attirano più papille e percettori. Si cambia. Qualcosa si perde, altre cose si smorzano o si acuiscono, altre ancora non le conosceremo mai. Restiamo noi, almeno nell'identità, ma su ben poche cose ancora ci si potrebbe scommettere.

È come una spennellata improvvisa su tela grezza, la felicità.

Ognuno di noi è soltanto un grigio incosciente che cambia sfumature.

C'è stato un tempo in cui disegnavo il suo volto a memoria.


L'avevo conosciuto in un tramonto che avrei dipinto di cremisi e turchese. Ora si è perso nella ragnatela dei grigi. In alcuni tratti, brilla di un'intensità di cui avverto la mancanza.

Ricordo che, per un certo periodo, mi svegliavo di soprassalto di prima mattina in preda a un'ansia indicibile e imprecisata. Anche l'ansia è grigia, come il rinomato smog londinese. E i mostri del passato (vissuto o sperato) si stagliano neri come Nessie nel lago: credi di averli visti ma non ne hai la certezza. È solo il pensiero a tormentarti.

Sono sveglio? Sto sognando? Cos'è questo senso di costrizione forzata?

Forse un giorno riuscirò a raccontare tutta la storia. Forse ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare. Al massimo potrei telefonare a un tizio qualsiasi che va di corsa con gli auricolari incollati. Al telefono c'è sempre tempo per tutti (slogan per qualche reclame).


Anche questa esperienza mi ha cambiato. Pian piano (quanto piano?) ne sto prendendo coscienza.

Vedo meglio. Non ci si può fidare di nessuno. Tanto più di uno come me.

Il grigio è imprevedibile. Confonde. Inghiotte.


Da più voci, mi è giunta notizia del coma. Il mio. Ci sono ancora, dopotutto.

Ci sono. Rannicchiato in qualche angolo del cerchio della vita, ci provo a far rumore.

Quanto tempo è passato?

Saprò ancora disegnare quel volto? Perché è dannatamente importante per me?

I suoni delle voci creano una melodia di grigi. Un'arpa del destino. Riuscite a vederne le corde?

Sono qui. Immobile e silenzioso. Sono vivo. È la mia mente che non va al meglio.

Qualcuno riesce a vedermi?

Ero uscito per una passeggiata nella penombra di un mattino (o di una sera) e sono incappato in un guidatore con diottrie deficienti. Un altro me, forse.

Qualcuno mi può spiegare il paradigma dei grigi?

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