top of page
Immagine del redattoreAnnamaria Ricco

Il Babbo si chiamava Natale


Il babbo si chiamava Natale per colpa della tosse, motivo per cui Alex non aveva mai fumato né provato ad accendere mai spinelli, quando imperversava la moda hippie e mantenersi sano suonava come anelito a qualche forma di totalitarismo.

Aveva dovuto inventarsi una forma d'asma per appianare gli sguardi torvi, contando sulla collaborazione empatica del Che, negli anni universitari, così da passare perlopiù inosservato dalle opposte fazioni. La condotta del giusto mezzo era sempre meglio della gogna pubblica, per una bandiera piuttosto che per un'altra.

Anche quella era colpa del babbo, che si chiamava Natale.

Non aveva nemmeno un santo a cui appellarsi, perché era ateo, nella patria del cristianesimo. A quello ci era arrivato di suo, dopo accurate analisi interiori, arrivando alla conclusione che, se non si fosse aiutato da sé, nessuna mano invisibile avrebbe svolto il suo miracolo. Ne conseguiva la sua personale opinione che il destino fosse la scusa per i falliti, in quanto ogni uomo assennato aveva il diritto di farsi la vita con le proprie mani. Se rientrasse in qualche altra forma di religione, a lui non interessava. Per quanto potesse valere, la questione non rientrava nel suo modus vivendi, scandito dalla linea retta del successo lavorativo incastrato in forma elicoidale alla linea sinuosa del ménage famigliare, una sorta di bastone di Asclepio; quello aveva sul camice, limitandosi a curare i cervelli senza vantare sapienza. Che se lo tenesse Hermes il secondo serpente intorcinato: Alex si accontentava di fare il suo, micro-chirurgicamente, fermamente convinto che, prima o poi, avrebbe risolto il problema del babbo, quel sarcasmo viscerale presente nell'essere umano.

Perché il suo babbo si chiamava Natale e, per colpa del nome, Alex era stato fatto oggetto di scherno dall'infanzia all'adolescenza.

Non aveva commesso lo stesso errore del nonno; nomi sobri per i suoi figli, Mario e Antonio, pazienza se avevano onomastici da festeggiare e santi cui far riferimento, ma aveva dovuto cedere su qualche punto con la moglie cattolica-non praticante.

Fosse stato per lui, avrebbe scelto nomi francesi, tipo Etienne, raffinato e non facilmente accomunabile all'italianissimo Stefano, anche se, a ben vedere, finché non avesse risolto il contatto neuronale del senso del sarcasmo, era stata una buona idea, perché il suo babbo si chiamava Natale e da lì a scherzare sul fatto che il discendente fosse un santo Stefano era una scintilla della mente.

Inevitabilmente, in quel particolare momento festivo dell'anno, c'era sempre stata almeno una battuta sul fatto che il suo babbo si chiamasse Natale; persino dopo il funerale, con la scusa di smorzare l'atmosfera lugubre, un tale se n'era uscito con l'augurio a sfornare un altro figlio maschio cui affibbiare l'infausto nome perché il mondo aveva bisogno di un altro Paternostro Natale... e giù risate.

Anche il cognome, soprattutto il cognome, era stato un nervo scoperto per Alex perché il suo babbo si chiamava, appunto, Natale e lui e suo fratello erano gli elfi che preparavano i regali e accudivano le renne... ah, reminiscenze dell'infanzia!

Mentre suo fratello, dall'alto del suo nome Elvis, sembrava divertirsi ad inventare storielle sempre nuove, come se attendesse con ansia quel particolare periodo festivo per starsene in piedi, al cento dell'attenzione della tavolata di parenti e amici, Alex macerava livore e rabbia, per sé e per il babbo che, del famoso dispensatore di doni, aveva soltanto un eccesso di adipe nel girovita; mai, mai si era lasciato crescere la barba, tanto più in età avanzata, sebbene Elvis avesse continuato ad esortarlo in tale direzione.

Di diritto, suo fratello era il primo paziente da operare al cervello appena avesse trovato il modo di estirpare quel nocciolo duro di sarcasmo.

Le istituzioni non facevano alcun passo avanti nell'educare le giovani menti alla responsabilità civica di onorare il prossimo; si era andati peggiorando con l'abolizione della materia nelle scuole e i figli dei figli dei bulli si erano moltiplicati, rimpolpando le fila di quegli adulti sciocchi e superficiali che latitavano al lavoro, pianificavano imbrogli e raggiri, malmenavano il diverso, frodavano gli anziani e beffeggiavano la serietà della condotta di uomini sobri come Alex.

"Si chiama ironia, fratellino! Andiamo: come fai a non ridere per la storia del babbo?"; crescendo, Elvis aveva accentuato la sua goliardia.

"L'ironia è qualcosa per cui si sorride insieme", innervosito.

"Non si chiamava empatia? Che ne so... Sei tu quello che ha studiato! Ma ti assicuro che ridere non fa male alla salute e Dio non voglia che qualche scienziato pazzo trovi qualche stratagemma per inibire quel pezzetto di cervello! Di cosa ti vai lamentando ancora? Persino babbo se la rideva a raccontare del perché si chiamasse Natale! Pace all'anima sua e di quel vizioso del nonno", destreggiandosi tra un colpo di risata e uno di tosse.

C'erano sempre orecchie vigili all'imbeccata, nell'ozio delle giornate di festa.

"Babbo, perché il nonno si chiamava Natale?", con curiosa innocenza.

La moglie si era nascosta il viso con un cuscino sul divano, lavandosene le mani di riportare le chiacchiere da salotto su sentieri meno spinosi.

Era toccato, come al solito, al fratello stagliarsi nel mezzo della stanza, illuminato dalle lucine dell'albero, e delucidare i posteri sulla storia di Babbo Natale.

Secondo consolidata tradizione orale, si raccontava che tale Vittorio Paternostro, fervente sognatore e ammiratore del mito americano, risparmiatore avaro per un biglietto di terza classe sulla nave del destino, avesse pianificato il suo futuro così dettagliatamente da investire i figli di nomi stranieri, in modo che partissero già avvantaggiati, una volta messo piede oltreoceano.

Non potendo permettersi altre spese oltre il necessario, Vittorio si era infilato nel commercio del tabacco, dedicandosi anima e corpo nella coltura della pianta in questione, tastandone personalmente il prodotto, così preso dalla volontà di americanizzarsi da non valutare i rischi sulla salute, avendo già compromessi i polmoni per una tara ereditaria.

Fumava come una ciminiera, Vittorio. In attesa di sentire i vagiti del suo primo figlio, fuori dalla stanza in cui la levatrice stava assistendo il parto, rollava le sue preziose foglie e respirava aria di frontiera nel fumo delle sigarette. Tempo di sapere di aver messo al mondo un maschio sano, si era lanciato verso la casa dell'addetto all'anagrafe in piena notte, giungendovi con un fiatone che aveva preoccupato non poco il tipo che, in guerra, si era beccato la sordità di un orecchio a causa di uno sparo.

E mentre Vittorio ansimava e tossiva e l'uomo assonnato ripeteva di non aver sentito né inteso alcunché, era stato deciso il destino di babbo Natale.

"E' nat'Ale...", aveva fatto in tempo a fiatare prima dell'infarto.

Di buon mattino, col giro di notizie tipico del borgo, l'uomo aveva annotato nei registri il decesso di Vittorio e la nascita di Natale.

Non smetteva di far ridere quella storia.

"Quindi, babbo, tu porti il nome pensato per il nonno?", candidamente.

Ancora una volta aveva preso la parola Elvis.

"Non se lo meritava il nome Natale, il tuo babbo: è troppo serio! Ho, ho ho".

16 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

La stanza verde di Rembrandt

Sono diventato un pittore della domenica per togliermi di bocca il sapore di morte, ammazzare la noia e innalzare il mio ego. Un pittore...

Quando vedi il cavallo giallo...

"Quando vedi il cavallo giallo il tuo piede è presto in fallo. Sentirai un grande caldo la tua anima è gia in saldo". - Piantala! - lo...

Il fottuto cono arancione

Il senso dell'ironia dell'universo aveva un qualcosa di diabolico, roba tipo pentole e coperchi. E, il più delle volte, a Riccardo non...

Comments


bottom of page