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Immagine del redattoreAnnamaria Ricco

Quale deità i gatti

Aggiornamento: 29 nov 2020

Tenera ingenuità dell'amore per i felini domestici




GIORNALE RADIO. IERI, 29 SETTEMBRE...


"Ehi, vecchio! Siamo arrivati", spalancando le portiere del furgone.

Erano su una statale sperduta fra i campi brinati, ma l'uomo non lo avrebbe portato oltre. Il vecchio Taddeo avrebbe dovuto arrancare da solo verso qualsiasi posto gli avesse suggerito quella testa di radi capelli bisunti.

C'era ancora gente buona, stava pensando, accennando un sorriso di gratitudine.

Taddeo era un fac simile di uomo, ma con un cuore ricolmo di speranza nel prossimo; la fiducia, invece, aveva imparato a dosarla. O forse erano la medesima cosa, ma lui aveva la mente semplice, non distingueva i concetti.

"Puoi tenerla"; bloccando il suo tentativo di rendergli la sciarpa, l'uomo aveva arretrato di qualche passo, per lasciarlo scendere e, soprattutto, per non dover subire il suo odore di strada.

Ci era abituato, a quei gesti. Non ci faceva più caso.

Forzando muscoli e ossa, Taddeo aveva esibito un inchino di ringraziamento, refuso della sua prima vita da clown, cercando di adattare i movimenti alla musica in sottofondo alla radio.

Il buon samaritano, imbarazzato, aveva salutato e, richiusi gli sportelli, gli aveva augurato buona fortuna, rimettendosi in marcia.

Un passaggio fuori città e una sciarpa all'acre odore di fumo erano quanto di più provvidenziale si sarebbe potuto aspettare; a cuor leggero e stomaco vuoto, Taddeo era realmente grato per i doni ricevuti. Era tanto, per lui che non aveva niente.

Il gatto sarebbe ricomparso.

Gli aveva indicato la via per la sua prima vita... ora voleva conoscere la successiva.

Perché essere un barbone lo aveva stoicamente accettato, con tutte le umiliazioni e gli stenti annessi; quando il circo gli aveva dato il ben servito, mollandolo in un posto come un altro, così lontano da casa, il clown imbranato e ballerino aveva riposto in tasca il naso rosso e, zigzagando con passo goffo, si era stretto nel cappotto del giovane Taddeo.

Non era mai stato bravo a far ridere, non da solo; la sua mimica era più sulla falsariga di Pierrot, delicato e sensibile, e di Charlot, impacciato e timido.

Se fosse rimasto al paese, il massimo a cui avrebbe potuto aspirare, era di servire da chierichetto e poi, se fosse cresciuto anche di testa, gli si sarebbero potuti affidare anche incarichi più seri, come suonare le campane o riscuotere le offerte durante la messa. Non era mai stato molto sveglio, con i fatti concreti.

La nomea se l'era definitivamente appioppata il giorno che aveva inseguito il gatto nei campi. Anche allora era il 29 settembre, di chissà quale anno.

Se lo ricordava bene perché era il giorno dei santi arcangeli e lui ci credeva ai miracoli e credeva nel fatto che i gatti fossero divinità senza parola. La sua particolare religione, tra fanatismo e blasfemia, aveva cardini solidi: i gatti erano emissari dei santi; bisognava soltanto seguirli e capirli.

E il gatto, maculato di rossi e di neri su fondo bianco morbido, così ben pasciuto da attirarne lo sguardo, gli si era strusciato alle gambe, ronfando fusa e tenendo gli occhi gialli fissi sul vuoto.

Vuoto era per Taddeo, ma lui era un'anima semplice; sicuramente c'era qualcosa d'invisibile in quel punto, qualcosa che a lui sfuggiva, sfuggiva alla sua testa vuota di povero, piccolo ignorante e stupido.

Era il 29 settembre quando si era affidato al gatto, ed ora era in ritardo di un giorno, stando a quello che aveva detto la radio. Sì, poi era partita la canzone e il giornale radio non aveva annunciato alcuna notizia; avrebbe dovuto chiedere al brav'uomo che giorno fosse, per cortesia, perché lui non sapeva leggere e non era molto intelligente da tener di conto o curarsi delle date.

Sapeva soltanto che aveva un appuntamento col gatto, nei campi natii.

Inspirando l'aria fresca, socchiudendo gli occhi con gusto, Taddeo rinverdiva la memoria, quando ancora sapeva parlare, prima di diventare un clown silenzioso.

I traumi delle botte e gli addiacci da barbone, avevano ingrossato malamente le mani, con storture sulle nocche e rughe di tagli profondi. Eppure, affondandole nella terra, non sentiva più alcun dolore.

Il paesaggio era brullo e incolore, ma doveva avere una qualche energia. Era proprio quello il posto in cui il gatto lo aveva guidato, dove si era sentito più leggero del solito, intuendo la convergenza di una serie prorompente di energie cosmiche...

I gatti le sanno queste cose. Non sono solo animali.

I gatti assorbono le energie del mondo nei baffi e vedono l'impossibile.

A risparmiarsi queste sue fantasie, quando aveva annunciato ai quattro venti del suo miracolo, che il gatto gli aveva indicato la carovana del circo da seguire, al paese non lo avrebbero dato per matto; probabilmente sarebbe rimasto lo scemo, quello che inteneriva e faceva sorridere, ma la nomea di alienato mentale era stata più gravosa.

Rattristato dall'accoglienza della sua illuminazione, molti anni prima, quand'era solo un ragazzo, si era preso il gatto in braccio ed era saltato sul carro della sua prima vita. Ricordava la gioia della libertà e di aver ricambiato le fusa del felino, prima che se ne scappasse in mezzo ai campi.

Sì, ci era rimasto male, ma non era mai stato egoista e quella piccola divinità a quattro zampe doveva indirizzare altre anime: lui se la sarebbe cavata.

La vita della strada era stata tosta. Spesso si era chiesto se non si fosse sbagliato nell'interpretazione, lui che non aveva mai fatto ridere il pubblico, malgrado il naso rosso. Aveva tenuto duro, ringraziando ogni passante di buon cuore e rimpicciolendosi fra i cartoni per non dare fastidio.

Non era cambiato nulla. Era solo invecchiato.

Il gatto gli doveva delle spiegazioni, perché non voleva più essere un martire e, magari, poteva essere!, aveva sbagliato lui che era ignorante, come dicevano tutti.

Nella sua ingenuità, di grazia, poteva aiutarlo, il gatto, a far luce?

Il posto era quello. Era in ritardo di un giorno e qualche anno.

Chissà se il gatto avesse tirato le cuoia, lasciando la sua deità ad un figlio più chiaro nelle indicazioni o anche soltanto più affettuoso, che gli facesse compagnia in quel che restava della sua seconda vita.

Taddeo lo avrebbe aspettato lì, con speranza.

La fiducia non si dà ai gatti.

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